Martedì, 25 Novembre, 2014 - 08:15

Le immagini di donne piangenti col volto tumefatto e gli slogan che ogni anno vediamo nella Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne del 25 novembre non bastano a risolvere un problema culturale. (di Giorgia Serughetti, sociologa, per Pagina99.it)


Per un italiano su tre, la violenza domestica sulle donne è un fatto privato da risolvere dentro le mura domestiche, per uno su quattro se una donna resta con il marito che la picchia diventa corresponsabile della violenza.

Sono alcuni dei dati desolanti che emergono dalla ricerca Rosa Shocking. Violenza, stereotipi... e altre questioni del genere, realizzata da Intervita con il supporto di Ipsos. Di vero shock si può parlare quando si scopre che il 79% delle intervistate, donne, ritiene che se un uomo viene tradito è normale che possa diventare violento, il 77% che se ogni tanto gli uomini diventano violenti è per il troppo amore e il 78% che per evitare di subire violenza le donne non dovrebbero indossare abiti provocanti.

Stereotipi triti, luoghi comuni secolari che sembrano duri a morire, di cui evidentemente non è possibile sbarazzarsi con qualche immagine di donna dal volto tumefatto e con gli slogan – tutti uguali – che dicono no alla violenza sulle donne in occasione della Giornata mondiale del 25 novembre. Ma non deve sorprendere più di tanto. Perché la radice del problema sta nella serie di risposte che riguardano il matrimonio (“il sogno di tutte le donne” per circa un uomo su due), la famiglia (per sette intervistati su dieci è più facile per una donna che per un uomo fare dei sacrifici), la casa e i figli (un intervistato su tre ritiene che la maternità sia l’unica realizzazione per le donne).

Quando si dice che la violenza è un fenomeno culturale si intende proprio questo: il sostrato che la alimenta è fatto di rappresentazioni della disponibilità femminile: affettiva, materiale, sessuale. Disponibile è qualcuno o qualcosa di cui ci si può servire, in vari modi. Ed è così che sono troppo spesso rappresentati e interpretati in Italia i ruoli femminili di moglie, amante, madre. Complici anche le politiche governative, quando per esempio premiano con 80 euro le mamme in quanto mamme, senza una visione che riguardi i nuovi ruoli che possono svolgere i padri nelle famiglie, o il rapporto con il mondo del lavoro e il sistema dei servizi.

Se non si coglie questo nodo profondo tra violenza e vita quotidiana, moltiplicare ogni anno gli eventi del mese di novembre contro il femminicidio non serve a granché. Se la violenza sulle donne si riduce alla conta delle uccise, alle immagini di occhi neri e corpi nudi rannicchiati in un angolo buio, e intanto i progetti e i soldi per l’educazione di genere nelle scuole restano nei cassetti, non fa che rinsaldarsi quell’immagine di donna subalterna e fragile, bisognosa di protezione, che è alla radice dello stesso sistema secolare di diseguaglianze.